La crisi finisce, la crisi continua?????
Questo triste adagio è sempre all’ordine del giorno, una volta il petrolio, una volta il gas, un’altra l’energia, la benzina ed il carrelo della spesa, poi si ricomincia..
Iniziamo la serie degli articoli del 2015 con un argomento che sembra non centrare nulla con la marcatura CE, ma vedremo che non è così.
La crisi che da 7 anni attanaglia il nostro sistema economico, (speriamo che valga sempre la regola dei 7 anni di vacche magre a cui fanno seguito 7 di vacche grasse) sembra mostrare i primi segni di regresso.
Ci sono segnali contrastanti, l’occupazione ricomincia a crescere, siamo sotto il 13 % e sembra un dato positivo nella sua tragicità, ma i prezzi calano e questo in una economia basata sul consumo, è un dato negativo.
Noi abbiamo visto chiaramente i primi segnali di crisi già alla fine del 2007 e già nell’autunno del 2008 abbiamo eseguito degli interventi drastici al nostro interno, per farVi fronte.
Nell’Agosto 2014 abbiamo rilevato un netto cambiamento di registro, sia nei contatti che negli ordini di lavoro e tale andamento si sta confermando da 6 mesi a questa parte e speriamo continui.
Se l’andamento dei nostri “sensori” fosse corrispondente alla realtà e noi fossimo in grado di leggere l’andamento dell’economia con 5/6 mesi di anticipo, avremmo in mano uno strumento certamente interessante, quindi verificheremo passo passo se questa ipotesi può essere confermata.
Quindi ipotizziamo di essere all’inizio dell’uscita dal tunnel o che finalmente ne vediamo la luce in fondo, in che modo tutto ciò incrocia la marcatura CE?
In effetti l’incrocio o lo scontro è avvenuto tanto tempo fa, esattamente quando da un lato l’UE si è dotata di serie regole per salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini e dall’altro sono di fatto cadute tutte le frontiere che limitavano il commercio.
Questi due fatti apparentemente distinti sono intimamente collegati in un abbraccio mortale per la nostra economia.
Le regole sulla sicurezza hanno giustamente preteso per i produttori UE delle regole, che inevitabilmente hanno appesantito ancor di più i costi aziendali.
Le stesse regole non sono state mai applicate e tutt’ora non sono applicate ai prodotti che provengono da fuori UE, permettendo così una concorrenza impari tra coloro che operano totalmente al di fuori delle regole e chi invece le deve rispettare integralmente.
Il rispetto delle nostre leggi, imporrebbe nei fatti di vietare l’ingresso in UE di tutti i prodotti per i quali non sia possibile un reale controllo sulla produzione, cioè quasi tutti.
Se i nostri governi applicassero queste leggi, i Paesi extra UE seguendo la semplice legge dell’occhio per occhio, chiuderebbero il loro mercati alle aziende europee che esportano, indipendentemente dalla qualità dei prodotti.
Quindi per salvaguardare le nostre aziende esportatrici da inique ritorsioni, invece di discutere delle condizioni di controllo adeguate, si è preferito aprire incondizionatamente le frontiere a qualsiasi prodotto.
Risultato: crisi economica, crisi occupazionale (se mancano i prodotti da costruire, non si creano nuovi posti di lavoro) e prodotti sempre meno sicuri, in cambio di lauti guadagni per i pochi grandi esportatori.
C’era e c’è un’alternativa? Noi non siamo in grado di rispondere a questa domanda, ci limitiamo ad osservare i fatti ed a fare delle ipotesi per il futuro.
La ripresa sembra arrivare e ce lo auguriamo, per noi e per tutti coloro che vogliono migliorare la loro situazione, ma su cosa si può basare tale ripresa? Sull’aumento dei consumi di prodotti “cinesi”? Sulla capacità di essere concorrenziali con chi ha costi che sono 1/100 dei nostri? Sulla richiesta del made in Europa da parte dei Paesi extra UE? Forse.
Qualsiasi sia l’aspetto che osserviamo, sembra mancare una solida base su cui poggiare questa agognata ripresa, quindi non ci resta che attendere nuovi segnali ed augurarci di essere poco ottimisti nelle nostre valutazioni.
Mai come in questo caso vorremmo sbagliarci e sperando di sbagliarci, auguriamo a tutti i nostri lettori un buon nuovo anno.
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